1623: una inutile strage, commissionata dal Comune di Poschiavo

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“[…] furono ammazzati molti e depredati tutti i lutherani… il che fu un modo non di convertire gli heretici, ma un pervetire i catholici…”.

Buon incontro quello tenuto sabato scorso, 5 febbraio, nell’Aula riformata di Poschiavo. Un pubblico attento, numeroso e ben rappresentativo delle diverse comunità (tra queste le sorelle del Monastero di Santa Maria). Relatori gli storici vallerani Arno Lanfranchi e Daniele Papacella che hanno, tra l’altro, dimostrato quanto sia meritorio il lavoro di scavo nei “polverosi archivi”.
Due i punti focali: la responsabilità, documentata, del comune di Poschiavo nel tentativo cruento di estirpare la “mala pianta riformata” e la sua inutilità. Pubblico attonito, stupito e fondamentalmente grato ai due relatori e al pacato moderatore, il pastore Paolo Tognina.
Tenuto conto del fatto che chi scrive conosce, frequenta e stima da diversi decenni i due storici, conversando con loro, ho usato il consueto e amicale “tu”.

Campanile della Chiesa riformata di Poschiavo con alberi in fiore

Arno, tu hai parlato di acclarata responsabilità del Comune di Poschiavo nell’ordinare l’intervento della soldataglia contro i riformati nel 1623, che ricordiamo provocò almeno 23 morti, l’esodo oltre Bernina di una serie di famiglie, la conversione forzata di molti altri e la spoliazione dei beni dei reietti.
In base ai documenti in nostro possesso, che non sto qui ad elencare, ma che si trovano citati nel mio contributo scritto per il volume “1620”, finora sembravano chiare ed evidenti le responsabilità e il coinvolgimento di forze esterne nei fatti che condussero all’eccidio dei riformati nell’aprile del 1623. Questo fino al rinvenimento in Archivio di Stato a Coira di un attestato rilasciato dal Comune di Poschiavo alla soldatesca che aveva perpetrato l’eccidio. Da questo attestato del 2 marzo 1624 risulta che i capi della soldatesca reclamavano sempre ancora il pagamento degli 80 scudi che erano stati promessi quale riconoscimento per “le loro honorate attioni et funtioni“. In quell’occasione venne loro fatto pubblico e solenne istrumento di questo obbligo da parte dei signori della comunità e drittura (tribunale) di Poschiavo. L’atto conteneva pure una dichiarazione di impunità per i crimini commessi dai soldati in questa azione.

Ora l’originale e la copia di tale istrumento, rogato dal cancelliere Giuseppe Godenzi, rimasti allora in casa del podestà Andreossa, risultavano essere introvabili – evidentemente erano stati fatti sparire da chi avrebbe dovuto onorare gli impegni assunti – e affinché i soldati “non restino delusi né defraudati della promessa et testimonianza fattali et del beneficio di detto instrumento” i giudici della drittura decisero di far loro di nuovo una testimonianza e dichiarazione scritta. Il documento porta sul dorso il titolo: “1624 Attestato fatto della communità di Poschiavo che le Truppe venute da Valtelina e Valcamonica per scaziarle Riformati son state chiamate da particolari.

Documento che ti ha lasciato di stucco, immagino. Però, appunto, non si è conservato l’originale con firme…
Sicuramente le autorità del Comune avrebbero preferito non dover stilare un tale documento. Facendo sparire il primo istrumento speravano forse che la cosa si risolvesse da sola, ma si illusero. Difficile dire perché alla fine si videro costrette a rilasciare l’attestato, assumendosi così tutta la responsabilità dell’eccidio. Se all’inizio questo poteva ancora essere considerato il frutto di un’iniziativa estremista di alcune persone private, ora con questa dichiarazione ufficiale l’azione veniva condivisa e legittimata a posteriori da tutta la comunità.

Daniele, strage insensata, ma anche inutile… perché?
Nel mio contributo ho descritto la rinascita della comunità dopo l’eccidio e la fuga del 1623.
Due i punti: attorno al 1630 rientrano in valle anche i notabili fuggiti in Engadina; nel 1632 vengono scritti gli ordinamenti, la comunità torna ad organizzarsi e torna anche il pastore.
Ma la situazione rimane precaria, per questo nel 1642 le Leghe mandano degli emissari che cercano di trovare un accordo. I riformati rinunciano ai beni pubblici. Il riscatto è di 1050 fiorini, la base per costruire una propria chiesa. Le cariche vengono distribuite secondo l’estimo (quindi la forza economica): due terzi ai cattolici, un terzo ai riformati, quindi ogni terzo anno si avrà un podestà riformato e 4 consiglieri di valle sui 12 presenti.

Il documento del 1654 che tu hai reperito nell’Archivio della Chiesa riformata di Poschiavo aggiunge elementi numerici e fattuali importanti. Cominciamo dai numeri…
Sono riformate 143 famiglie, quindi circa 700 persone, un terzo della popolazione. Le conversioni forzate degli anni precedenti, comunicate con tanta enfasi a Como e Milano, erano dovute alla situazione, non a un ravvedimento.

Ma chi sono i firmatari?
Ci sono tutte le famiglie patrizie: Bassi, Mengotti, Compagnoni, Olgiati, Semadeni, Cortesi, Lardi, Badilatti, Giuliani, Gervasi. Questo indica come la divisione confessionale avesse toccato e diviso tutte le famiglie. La fede emerge come esperienza individuale, nel migliore spirito umanista, e non un obbligo collettivo. Vuol dire che nei decenni precedenti, il dibattito non era solo limitato a ristrette cerchie (come in Valtellina), ma avesse coinvolto tutta la popolazione della valle.

Nel documento sono anche inserite prescrizioni a difesa della comunità…
Sì, con la loro firma, tutti i capi famiglia si impegnano a non vendere niente ai cattolici e in caso di conversione deve essere diseredato. Una forma per mantenere gli equilibri politici, ma anche una dichiarazione di compattezza: chi ci mette la firma si impegna per la sua comunità, dimostra il coraggio di opporsi alle pressioni ancora fortissime verso una conversione forzata e pone così su una nuova base la vita comunitaria, una sorta di giuramento valido anche per le generazioni future.

Un’ultima curiosità. In una pagina del documento risaltano dei simboli grafici [vedi foto sopra]
Sono quelli dei notai. Ognuno di loro aveva una sua marca, un simbolo univoco per siglare i documenti. Se vogliamo questi sono la versione grafica di quei sigilli a ceralacca che erano riservati ai documenti più preziosi.

Grafica ben studiata…
Sì, Tomaso Bassi ricama il suo nome, Badilatti celebra solo l’iniziale del cognome, Antonio Landolfi evoca il padre Dolfino inserendolo al centro e con il libro si riallaccia alla ben nota tipografia. L’ultimo con il cuore indica la passione e la fedeltà necessarie per il lavoro di notaio.

Arno, tu hai voluto citare un passo a commento di tutta la tragica vicenda…
La mia fonte è insospettabile, essendo di parte cattolica. Il vescovo Sisto Carcano, visitatore delegato del vescovo di Como Desiderio Scaglia, in una lettera del 3 agosto 1624 indirizzata alla Congregazione di Propaganda Fide scrive: “Al presente io mi trovo a Puschiavo paese assai numeroso di popolo di dove un anno e mezzo fa, da certi soldati mossi dall’avidità della preda più tosto che dal zelo della fede, furono amazatti molti e depredati tutti i lutherani… il che fu un modo non di convertire gli heretici, ma un pervetire i catholici…”.