Cambio climatico e viticoltura: a confronto con Marco Triacca

0
762

Il cambiamento climatico è ormai una realtà innegabile che sta influenzando le nostre vite in modi sempre più evidenti. Il susseguirsi repentino delle stagioni, con un brusco passaggio dal freddo all’ardente calura, è diventato una costante di cui tutti siamo testimoni e che influenza innegabilmente anche l’agricoltura. In questo articolo, metteremo a confronto le opinioni e le esperienze di esperti, in particolare esploreremo il punto di vista di Marco Triacca, viticultore di Poschiavo presso l’azienda La Perla, per capire come il cambiamento climatico sta influenzando la viticoltura in queste regioni montane.

“Non ci sono più le stagioni intermedie! Si passa dal freddo, freddo al caldo caldo e tutti ne risentiamo pesantemente. Il clima è proprio cambiato. E, signora mia, non si sa più come vestirsi dalla mattina alla sera!”
Questa è la “vox populi” (o, stando terra terra, sentita al supermercato o al bar).
E la “vox dei? Intendiamoci bene “dei” è scritto volutamente minuscolo, perché in questo caso non facciamo riferimento alla trascendenza, ma alla scienza.

Qual’è il grado di salute e di resilienza dell’ambiente montano, e dell’agricoltura di montagna di fronte al “Cambiamento climatico”? Una ricerca, finanziata con fondi europei, supportata per la parte tecnica dalla Fondazione Fojanini di Sondrio, è stata appena pubblicata per iniziativa di “Valtellina Valle dei sapori (GAL).

Che ci sia un forte cambiamento climatico è sotto gli occhi di tutti. La letteratura scientifica è sostanzialmente concorde sull’effetto combinato dell’azione ben conosciuta del Sole e di molteplici fattori terrestri, naturali e derivati dall’azione umana. Per questi ultimi si indicano i pesanti effetti della combustione di materie fossili vegetali, dell’allevamento intensivo, dell’uso massiccio di fertilizzanti azotati e così via.

Il cambiamento climatico si manifesta soprattutto con un aumento delle temperature dell’aria e del suolo e una variazione del regime pluviometrico. Questi fattori producono, come ben sappiamo e verifichiamo, ondate di calore, giorni di calore prolungato, siccità e per converso eventi piovosi intensi e repentini che aumentano il ruscellamento superficiale e ostacolano la reintegrazione delle falde acquifere.
Tre i grandi comparti presi in osservazione, quelli economicamente più rilevanti nelle nostre valli: prati e pascoli e dunque i prodotti caseari; frutticultura e viticoltura.
Partiamo questa volta proprio dalla viticoltura
Abbiamo deciso di mettere a confronto le tesi di Ivano Fojanini, tecnico della omonima Fondazione sondriese (esplicitate nel testo sopracitato) e le valutazioni del viticultore poschiavino Marco Triacca (azienda La Perla).

Per chiarezza, signor Triacca, faccio mio quanto scritto nel volume. Dunque: «Nell’ambito della viticoltura, i cambiamenti climatici hanno iniziato a fare sentire i propri effetti da circa un ventennio e, in particolare, risultano significativi durante le annate anomale, quale quella appena trascorsa del 2022: il clima più mite in inverno stimola una germinazione precoce, anticipata, con il rischio di gelate tardive». Così è andata?”

Confermo, il rischio è legato alle gelate primaverili. Quest’anno nessun problema di questo tipo per fortuna. L’ultima gelata importante che ricordo è quella di aprile 2017. A seconda delle caratteristiche e ubicazione del vigneto può essere un grande problema. Fortunatamente gran parte del vigneto valtellinese è situato sulla costa retica in particolare e quindi l’aria più fredda scende sul fondovalle, causando poi problemi ai meleti.

Ancora: «La maturazione dell’uva inizia anticipatamente e si conclude in tempi più ridotti».

Confermo per il 2022, vendemmia anticipata rispetto alla media, dovuto al gran caldo e alla siccità. Quest’anno, fino a poche settimane fa, si parlava di un’annata medio-tardiva per quanto riguarda l’epoca di raccolta. Con il caldo che sta facendo in questi giorni è probabile che la maturazione recuperi e quindi si tratterà di un’annata nella media.

Rispetto al passato il riscaldamento offre al vino un maggior grado alcolico, pur mantenendo un adeguato livello di acidità.

Vero. In generale il riscaldamento climatico, unito soprattutto alla riduzione delle rese rispetto al passato, ha portato ad avere vini valtellinesi più equilibrati (rapporto tra alcol, acidità, struttura) mantenendo sempre delle belle acidità. Questo grazie ai nostri terreni generalmente acidi e al fatto di essere in mezzo alle Alpi.
In particolare, soprattutto negli ultimi anni, abbiamo assistito all’innalzamento del grado alcolico. Mio papà mi racconta che 40 anni fa se un vino rosso raggiungeva 12 gradi, si facevano salti di gioia. Oggi si parte dai 13 gradi fino ad arrivare a 14-14,5 gradi per una vendemmia normale. Ma non si tratta solo di riscaldamento climatico, ma anche di gestione diversa in vigna e soprattutto rese più basse per ottenere più qualità ed entrare nella DOCG.

Signor Triacca, per quanto riguarda sempre il grado alcolico, quali i problemi in cantina e alla vendita?

Bisogna per esempio gestire bene in cantina la fermentazione, soprattutto per vini come lo Sforzato. Per la vendita possono anche esserci problemi. Dipende dal gusto dei consumatori e anche dalla paura del grado alcolico in etichetta (incombe il ritiro patente!). Poi ci sono aspetti legati a costi di importazione. In alcuni mercati esteri un vino più alcolico può avere dazi più alti all’importazione.
Se invece si guarda solo alla qualità del vino, considerare un solo dato analitico come l’alcol non ha senso, dipende dall’equilibrio del vino. Per intenderci, posso apprezzare un vino di 16 gradi, perché ben equilibrato, e trovare troppo “alcolico” un vino da 13,5°…

Sempre riferendoci al 2022, nel volume troviamo questa affermazione: «Il calore prolungato ha provocato, nei settori ove la vite ha più sofferto, un blocco della crescita vegetativa con diminuzione della produzione».

Sì, confermo. Ma non si può generalizzare, dipende tanto dal terreno del vigneto. Ad esempio nel mio caso, avendone in zona Valgella con una buona disponibilità di acqua nel terreno durante tutto l’anno, non ho subito particolari problemi nel 2022. Le viti di oltre 40 anni, con radici ben sviluppate, sono andate a prendersela in profondità. In altre zone, dove a poche decine di centimetri trovi la roccia, la situazione è stata ben diversa (e penso ad esempio ad alcune zone della Sassella).

E quest’anno?

Quest’anno per quanto mi riguarda c’è stata troppa umidità. Il mese di giugno ha piovuto frequentemente (magari non tantissimo in termini di millimetri di pioggia) e il terreno e la vegetazione sono rimaste per tanto (troppo) tempo a contatto con l’acqua. Tutta questa umidità, unita alle calde temperature, sono le condizioni ideali per una malattia fungina: la peronospora.

Corrisponde poi al vero che «la stagione estremamente calda e siccitosa del 2022 ha limitato la proliferazione di patogeni tardo primaverili-estivi (legati a fasi climatiche caldo-umide), riducendo di 1/3 il numero dei trattamenti abituali».

Confermo, nel 2022 praticamente niente peronospora e meno trattamenti. Quest’anno, come ho già detto, abbiamo affrontato il problema della peronospora. Poi in alcune zone è arrivata la grandine a provocare danni (per quanto ne so, zona Sassella la più colpita).

Il riscaldamento degli ultimi anni e in particolare il clima mite in inverno favoriscono tuttavia la propagazione di certi altri patogeni, come la nottua». Conferma?

Confermo. Anche qui dipende però molto dalle zone e anche dal tipo di vigneto. Ad esempio nella mia zona non ho mai avuto (almeno finora) grossi problemi con questi bruchi, mentre altri miei colleghi in altre zone tribolano di più.

Mi preme aggiungere che l’effetto più preoccupante del cambiamento climatico sono le situazioni estreme, in periodi dell’anno sfasati: caldo in inverno, freddo d’estate, bombe d’acqua improvvise, grandine, ecc. Visto che è la natura che comanda (per fortuna!) a noi non resta che adattarci e fare il possibile.
Questa stagione è stata davvero difficile e quindi in vendemmia servirà ancora maggiore attenzione per poter portare in cantina uva di qualità. Sono anche convinto che ogni annata vada per così dire rispettata. Nelle bottiglie tra un po’ di anni si troverà quello che l’annata ci ha dato e spesso e volentieri ci sono bellissime sorprese anche nelle annate più difficili. Alla fine è proprio questo il bello del vino.

Come sarà dunque l’annata 2023?

Non mi piace fare previsioni in questo periodo, anche perché per i rossi manca ancora tanto tempo alla vendemmia. E poi il lavoro non finisce con la vendemmia, ma prosegue in cantina per la fermentazione e poi, si tratta di anni, per l’affinamento. A me piace tirare le somme a ridosso dell’imbottigliamento, anche se poi il vino evolve sempre anche in bottiglia. Ora è come se dovessi dirle chi vincerà il campionato di calcio dopo solo poche giornate…

Ha già cominciato a vendemmiare qualcosa?

Abbiamo iniziato a raccogliere la Pignola valtellinese per la produzione del nostro spumante, metodo classico. La Pignola nel mio caso ha retto molto meglio rispetto al Nebbiolo. E grazie a questa domanda mi accorgo di non aver detto che anche ogni varietà reagisce in maniera diversa (più o meno resistente alle malattie). Insomma, la materia è davvero molto complessa. Ed è questo il bello! Per fortuna coltivo uva e produco vino… e non Coca Cola [sorride, Ndr].


Piergiorgio Evangelisti
Addì 9 Settembre 2023.