Il cambiamento climatico ci riguarda da vicino, anche in Valposchiavo

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Qualche tempo fa, mentre partecipavo alla presentazione per la Strategia regionale 2024-2027 per la Regione Bernina, mi sono accorto che, tra i vari temi che venivano toccati da questa sorta di programmazione pluriennale, non figurava quello climatico ambientale e ne avevo perciò chiesto conto.
“Un po’ non è di nostra competenza – mi era stato risposto – un po’ non sapremmo in che settore inserirlo”. 
Il mio pensiero immediato era stato che mi era difficile immaginare che vi fosse un settore dell’economia, della vita e della cultura locale che non fosse toccato dal tema dei cambiamenti climatici. 

Nelle scorse settimane, qualche temporale molto più violento del solito è andato a gonfiare il Poschiavino e gli altri torrenti e far diventare il Lago di Poschiavo color caffellatte: nello sguardo di alcuni si leggeva la preoccupazione per ricordi di circa 35 anni fa che pensavamo di esserci lasciati alle spalle: è rientrato tutto, ma il pensiero ci ha fatto compagnia un’altra volta. Proprio negli stessi giorni, mentre Bruno Raselli scriveva un editoriale sui ghiacciai che se ne vanno, mi ero messo in mente di lavorare a un articolo che legasse la questione ambientale al turismo, anche a quello della Valposchiavo. Ben presto mi sono reso però conto che tutte queste storie avevano un filo conduttore e che legarsi a un aspetto unico sarebbe stato riduttivo.

Si fa spesso un gran parlare, sui media della Svizzera, dell’Italia e di quelli internazionali dei repentini cambiamenti climatici a cui stiamo assistendo. Come spesso accade, c’è chi li enfatizza in modo ancor più drammatico e chi arriva a negarli.
Più che l’atteggiamento “negazionista”, termine infelicemente mutuato da contesti assai più tristi, trovo preoccupante l’idea che tutto questo, in fondo, non ci riguardi. Anzi, alcuni arrivano a dire che, tutto sommato, avere a Poschiavo, a mille metri, un’estate un po’ più calda non sia nemmeno male, che avere giornate di settembre che sembrano luglio avanzato sia un piacere e che, in fondo, basti coprirsi un po’ di meno. “Spenderemo meno in riscaldamento” o “odio l’inverno, se fa caldo me la godo”, “se fa sempre bel tempo è meglio, che se piove anche per il turismo è un problema”. Tutti commenti sentiti, non inventati da chi scrive ora. Oppure, infine, c’è chi fa spallucce e allarga le braccia, come se fosse qualcosa che, appunto, non lo riguarda. 

Non mi metterò qui a discutere del fatto che, in effetti, il cambiamento climatico vi sia e che lo dicano gli studiosi seri, i documenti anche di nostri archivi, le statistiche, le fotografie dell’ultimo secolo o, per citare qualcosa di estremamente concreto e vicino, i rilievi al sentiero glaciologico del Morteratsch. Ho invece intenzione di soffermarmi sul fatto che questo evento “ci riguardi”. Cominciando dalle Alpi, che secondo gli studi subiscono un impatto del riscaldamento globale due volte più forte di quello della media del pianete, fino ad arrivare a casa nostra.

La Valposchiavo, fatto piuttosto singolare per una valle alpina grigionese, ha un turismo non legato in modo specifico agli sport invernali, per cui sembrerebbe che almeno il comparto turistico sia in qualche modo immune dalla penuria di precipitazioni nevose nella stagione invernale. Ma le cose non stanno affatto così: da un lato vi sono delle attività e delle zone specifiche che d’inverno, se pure con numeri diversi da quelli degli impianti da sci engadinesi, “campano” di neve (si pensi, ad esempio, a Sfazù e alla Val di Campo), dall’altro le nevi (e i ghiacci) sono la riserva idrica che mantiene un paesaggio costellato di laghetti, torrenti, ruscelli e di quel “verde” tanto agognato dai turisti in fuga dalla città. 

L’acqua, appunto, rappresenta il tema centrale. Ci viene naturale pensare che “l’acqua vada sempre in giù” e che prima sarà la pianura ad avere penuria idrica. Questo è vero solo in parte. Le grandi città della parte alta della Pianura Padana (cito quella perché il Poschiavino appartiene al bacino imbrifero e irdrico dell’Adda e quindi del Po) pescano l’acqua dalla falda e hanno riserve per decine di anni. La siccità del 2022 ci ha fatto intravvedere delle difficoltà di approvvigionarsi di acqua potabile più per il borgo di Poschiavo che per Milano: qualcosa con cui non pensavamo di dover fare i conti… Senza voler citare eventuali problemi per le persone: mentre Brusio con il suo acquedotto agricolo si è salvata, alcuni degli orti di Poschiavo sono finiti in sofferenza per le limitazioni che è stato necessario introdurre.

E che dire dell’agricoltura? All’assemblea dei campicoltori, alla quale ho partecipato per Il Bernina, si è parlato della perdita pressoché totale di un raccolto a causa della siccità dell’anno scorso. 

L’acqua è, inoltre, l’oro blu della Valposchiavo per la produzione di energia idroelettrica. Il venir meno dei ghiacciai e delle scorte di neve significherà una riduzione della portata dei corsi d’acqua e, a cascata, una diminuzione della produzione e dei canoni idrici, con un notevole pregiudizio per l’economia della regione.

Gli eventi estremi, che il cambiamento climatico repentino porta a sua volta con sé, sono poi estremamente pericolosi per un territorio fragile e complesso come quello della Valposchiavo, legata al resto del cantone dal cordone ombelicale di una strada più esposta di altre agli agenti atmosferici e al rischio continuo di smottamenti, per quanti interventi preventivi si possano mettere in campo.
Senza contare che fuori dai nostri confini i cambiamenti climatici provocano guerre e carestie, che aumentano la pressione demografica ai confini del continente europeo e a cascata della Svizzera.

Senza voler indulgere a un inutile e sterile catastrofismo né voler dipingere tinte fosche, è tempo per gli abitanti delle Alpi e anche per la Valposchiavo di cambiare le proprie priorità.  Forse è meglio che ciascuno di noi si occupi del cambiamento climatico perché, anche se non lo facciamo, sarà lui che si occuperà sempre e comunque di noi nei prossimi anni. 

Maurizio Zucchi
Collaboratore esterno

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