Da ‘Il Bernina’ a oggi, Luca Beti: Riflessioni sul mestiere del giornalista

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Il ritmo dell’attualità è talmente veloce che, di sera, mi capita a volte di ripensare alla giornata trascorsa nella redazione della RSI, al Centro dei media a Berna, e di non ricordare più di quale tema mi sia occupato alcune ore prima. Tuttavia, ci sono articoli o servizi radiofonici che non si dimenticano. Forse perché il tema ti ha appassionato o ti ha spinto a svolgere un’approfondita ricerca. Oppure perché hai avuto l’opportunità di incontrare una persona che ti ha particolarmente colpito. Ripensando al mio passato a «Il Bernina», a riemergere alla memoria è l’articolo sulla gara ciclistica Al Clüs-Mota Guzilla. Probabilmente è stato il mio primo testo in veste di redattore. Non ricordo chi mi affidò il compito di seguire questa manifestazione – forse il caporedattore dell’epoca, Danilo Nussio – e neppure come arrivai lassù; probabilmente in sella alla mia vespa. Così, il mio primo articolo lo scrissi seduto a bordo strada, ammirando il magnifico panorama della Valposchiavo.

Dopo questo primo testo, ne scrissi molti altri che però si sono persi nei meandri della memoria. Come oggi, anche allora in redazione eravamo pochi, ma si respirava tanto entusiasmo e il desiderio di offrire un prodotto di qualità. E, visto che le risorse erano limitate, non si poteva certo avere la puzza sotto il naso e si seguiva tutto ciò che proponeva l’attualità. Ricordo le serate trascorse ad ascoltare gli interminabili dibattiti in Giunta, con il portatile sulle ginocchia e poi di corsa a casa per ultimare l’articolo, cercando di bruciare sul tempo la concorrenza. O i sabati sera passati a seguire eventi di ogni tipo. La passione non mancava mai, era il tempo a fare difetto; tempo da sottrarre alla famiglia, alla scuola e agli hobby. Tuttavia, in alcune occasioni, sembrava che l’incedere delle lancette dell’orologio si fermasse. Ad esempio, quando incontravi una persona che di vita ne aveva tanta alle spalle, come Tomaso Crameri che avevo intervistato per una serie di articoli sull’agricoltura (articolo che purtroppo non si può più leggere integralmente). Sono momenti come questi che ti fanno amare il mestiere di giornalista, una professione che ti apre quasi tutte le porte, quelle contro le quali, come persona normale, andresti a sbattere.

A «Il Bernina» sono approdato un po’ per caso. Ero in giro per il mondo con Marzia quando qualcuno della redazione, non so più chi, mi scrisse chiedendomi se avessi voglia di mettermi in gioco, di lanciarmi in una nuova avventura al mio rientro in Valposchiavo. Fu una sorpresa per me. Non ricordo più se la mia risposta fu un sì convinto o titubante. A guardarla oggi, quella di allora si è rivelata una decisione fortunata. Da lì, da quella mail ricevuta probabilmente tra Kuala Lumpur e Singapore – eravamo nelle tappe finali del nostro viaggio da backpacker – è iniziato il percorso professionale che mi ha portato ad abbandonare il mondo della scuola per abbracciare quello del giornalismo.

Dal 2009 non è più la campanella a scandire i ritmi delle mie giornate, ma l’attualità battente. È stato a swissinfo.ch, piattaforma d’informazione della SSR, che per la prima volta mi sono sentito chiamare giornalista, un titolo che mi intimoriva pronunciare perché l’associavo ai mostri sacri di questa professione. Nonostante gli anni trascorsi come redattore de «Il Bernina», lavorando a swissinfo.ch mi sono reso conto di avere ancora molto da imparare. Ho avuto la fortuna di essere accolto in una redazione composta da giornaliste e giornalisti molti bravi e competenti. Dopo quella prima esperienza ho scelto di diventare un giornalista freelance. Da circa 12 anni cerco di raccontare la Svizzera a Nord delle Alpi, andando alla ricerca di storie insolite e curiose non legate alla stretta attualità. Sono storie di persone comuni che hanno qualcosa da raccontare, proprio come allora Tomaso Crameri. Dal periodo con «Il Bernina» mi porto proprio questo: il piacere dell’incontro con la gente, il desiderio di raccontare la vita di tutti giorni, quella di un survivalista, di un casaro fuggito dalla Siria, di una donna in prigione, di tre pensionati che con un fucile a salve scacciano gli uccelli dalle vigne.

Ripensando al periodo trascorso a «Il Bernina» ricordo con piacere il contatto diretto con la realtà locale. Un’esperienza che mi obbligava a fare bene il mio mestiere, perché il giorno dopo avrei sicuramente incontrato qualcuno pronto a evidenziare eventuali errori. Ma anche se facevamo bene il nostro lavoro, c’era immancabilmente qualcuno che telefonava per lamentarsi che «Il Bernina» era di parte. In redazione seguivamo una massima: finché tutti i partiti e movimenti erano scontenti nella stessa misura, allora significava che la nostra offerta giornalistica era equilibrata.

Da quando ho abbracciato questa professione, il paesaggio mediatico in Svizzera è decisamente cambiato. Negli ultimi decenni si è assistito a una graduale concentrazione dei media che ha avuto come conseguenza un omogenizzazione o una standardizzazione dell’informazione e una perdita della pluralità delle opinioni. Di recente, i grandi gruppi mediatici ricorrono sempre più spesso all’intelligenza artificiale (IA) per la produzione di contenuti giornalistici (vedi l’annuario «Qualità dei media 2023»). Questa evoluzione, figlia anche delle crescenti difficoltà economiche del settore, minaccia il dibattito democratico nel nostro Paese. Come evidenziato dallo studio «I media e il sostegno agli stessi nel Cantone dei Grigioni», nelle valli di lingua italiana «la situazione è già critica, a causa della mancanza di risorse finanziarie e di infrastrutture per il giornalismo locale. Nemmeno il servizio in lingua italiana dell’agenzia Keystone-ATS può risolvere il problema della scarsità di risorse con la sua offerta». Per proporre un’informazione di qualità, anche a livello regionale, servono quindi mezzi finanziari. Per questo motivo, da «pus’ ciavin in bulgia» continuo a sostenere «Il Bernina», un giornale online che fa da ponte tra Lyss e la Valposchiavo.