«Felice è la Nazione che ha degli uomini come Voi. I nostri giornali hanno riferito del Vostro comportamento con l’equipaggio di una nave che era Vostro dovere affondare. Esiste un eroismo barbaro e un altro di fronte al quale l’anima si mette in ginocchio: il Vostro! Siate benedetto per la Vostra bontà che ha fatto di Voi un eroe non soltanto dell’Italia ma dell’Umanità. Una donna portoghese».
È iniziato sulla base di questo breve testo l’incontro di venerdì 15 novembre dal titolo ‘Migranti’ ideato Josy Battaglia nell’ambito del progetto ‘Storie Vaganti’ presso il ‘Punto Rosso’ di Poschiavo. La serata ha messo in dialogo storia, attualità e testimonianze, unendo l’eroismo del passato alle sfide contemporanee legate alla migrazione. Gli ospiti, Laura Crameri (SOS Humanity), Marta Bernardini (Mediterranean Hope), e Don Giusto Della Valle, parroco di Rebbio (Como), hanno offerto la loro prospettiva diretta sul fenomeno migratorio, moderati e incalzati da Paolo Tognina davanti a un pubblico di 100 persone.
Le parole riportate qui sopra, sono il contenuto di una lettera anonima giunta da Lisbona allo Stato Maggiore indirizzata al comandante Todaro e ritrovata nel suo portafogli, dopo essere stato vittima nel mitragliamento aereo inglese del suo natante in missione in acque tunisine nel dicembre del 1942. La vicenda a cui si riferisce questa lettera risale all’ottobre del 1940, quando il sommergibile italiano Cappellini, comandato da Todaro, affondò il mercantile belga Kabalo, requisito dalla Marina britannica. Dopo l’affondamento, Todaro, contravvenendo agli ordini e rischiando la sicurezza del proprio equipaggio, decise di salvare i 26 naufraghi nemici, accogliendoli a bordo del sommergibile. Nonostante le difficoltà di spazio e le avverse condizioni del mare, trasportò i superstiti fino a un’isola sicura, usando un piccolo battello per portarli a terra durante la notte.
Questo spunto da cui ha attinto Josy Battaglia, nella ricostruzione della vicenda romanzata da Sandro Veronesi, rappresenta il fulcro di alcune questioni che le narrazioni di ‘Storie Vaganti’ mirano a condividere così come le toccati foto del maltese Darrin Zammit Lupi che sono state proiettate quella sera. Ma, oltre a vicende storiche e a fotografie, l’evento ha offerto la possibilità di ascoltare narrazioni e testimonianze dirette di chi si occupa oggi di migranti, di accoglienza, di umanità.
Laura Crameri ha raccontato la sua esperienza da responsabile a bordo di una nave di Sos Humanity. Le sue ‘rotazioni’, che sono gli effettivi periodi di operatività in mare, richiedono una certa complessità organizzativa preliminare, 29 persone impiegate nell’equipaggio e 4 o 6 settimane di navigazione. Distribuisce giocattoli ai bambini quando riesce a relazionarsi con i naufraghi tratti in salvo, ma il suo lavoro principale è dietro le quinte. Racconta di essere stata spinta a lavorare in questo settore perché, nata e cresciuta in Svizzera, si è resa presto conto di avere accesso a tutto ciò di cui aveva bisogno, cosa che in altre parti del mondo quasi non ci si può nemmeno immaginare: «questo mi ha portata a riflettere su tutte le persone che non avevano questo privilegio: me lo sono sempre domandata. Per me il mondo è libero solo quando è libero per tutti».
Laura ha anche espresso la frustrazione che la travolge quando, salvate dal mare molte vite, i porti dell’Italia non consentono tempestivamente gli sbarchi, ma «fa parte del nostro lavoro… – dice – noi facciamo meno dell’8% dei soccorsi. Allora quello che possiamo fare è parlarne, far vedere quello che succede, e non far chiudere gli occhi». Nella sua testimonianza spiega anche che, quando la nave attracca al porto, si trova davanti un dispiegamento di polizia quasi più numeroso dei migranti a bordo, e così: «mi domando, vedendo quante persone ci sono, come poliziotti, per l’accoglienza, sono tutti stipendi… Ma questi soldi, si potrebbero utilizzare in un’altra maniera, no?».
Paolo Tognina, dati alla mano, ha ricordato e chiarito che – visto quanto spesso sotto una certa narrazione occorre il termine ‘invasione’ –: «l’UE ha 450 milioni di abitanti, ogni anno arrivano attraverso le rotte migratorie mediamente (negli ultimi 10 anni) 250 mila persone. Non sono mai stato bravo in matematica ma non sembra proprio un’invasione».
Oltre al salvataggio in mare esistono altri canali più sicuri e legali per le rotte migratorie, ovvero i corridoi umanitari, di cui si occupa Marta Bernardini di Mediterranean Hope.
«Se vogliamo parlare in termini pragmatici, quello che può costare occuparsi delle persone attraverso un corridoio umanitario è infinitesimamente meno rispetto ad armare i nostri confini, armare le guardie costiere libica e tunisina per respingere le persone e fare accordi con altri Paesi per delle deportazioni. Queste sono strategie ideologiche e non pragmatiche». Attraverso i corridoi umanitari di cui si occupa Marta, sono arrivata in Europa, dal 2016, circa 7500 dei 250000 migranti complessivi annuali. Ma la questione che tiene a mettere in rilievo è quella dell’aspettativa. Sia come accoglitori sia come migranti: «ci si scontra con tanti aspetti dell’animo umano che sono desideri, aspettative, speranze, bisogni. […] Ci si aspetta, ad esempio, di offrire il proprio tempo e il proprio lavoro e di ricevere qualcosa in un certo modo: il perfetto migrante che quando arriva è educato, si integra, adora la pasta, impara l’italiano. Ma poi ci sono le persone che non rimangono, che arrivano in Italia come passaggio, e viene da dire “ma come, ho investito tempo e lavoro e poi te ne vai?!”».
E non da ultimo, le aspettative del migrante che parte «e si aspetta l’Europa dei diritti, dell’uguaglianza, delle opportunità, e invece, il percorso è difficile perché – dichiara Marta Bernardini – c’è un razzismo sistemico molto forte!»
Don Giusto Della Valle, parroco di Rebbio, Como, si occupa invece di proseguire il lavoro con l’accoglienza sul territorio italiano, dove i migranti sono giunti o in attesa di riuscire ad attraversare il confine svizzero per raggiungere il nord Europa. Racconta nella sua precisa testimonianza che la sfida più grande nell’accoglienza è una sfida di tipo culturale: «gli ultimi arrivati vengono dalla regione nord della Nigeria. Scappati perché i terroristi di Boko Hararm sono andati nei loro villaggi, e li hanno costretti a diventare terroristi o a scappare. Non sono andati a scuola, hanno una base enorme di vita ma mancano gli strumenti culturali per entrare in un mondo nuovo, che se non conosci puoi solo vivere ai margini. Perché magari il pensiero si limita alle necessità primarie». Ma la sfida culturale non è solo a carico dei migranti. Infatti, Don Giusto, denuncia chiaramente le condizioni inadeguate dei centri italiani: assenza di formazione professionale, assistenza psicologica e di mediatori culturali. «L’Italia perde ogni anno 300.000 nati, mentre servirebbero almeno 400.000 lavoratori immigrati. Tuttavia, la politica preferisce alimentare il mito dell’invasione, che serve a fini elettorali», spiega a ragion veduta.
Ed è chiaro, che in tutta questa vicenda, qualcosa non torni. Che i provvedimenti della politica europea siano inadeguati rispetto alla complessità richiesta per la gestione di questa situazione; che le retoriche del ‘tutti via’ o ‘accogliamoli tutti’ non abbiano alcuna contezza della realtà, e nemmeno dell’orgoglio di avere una cittadinanza votante, dato che sempre meno si esercita questo diritto. Inevitabilmente, nonostante la premessa di Josy Battaglia di non deragliare nella politica, ma raccontare storie di vita e testimoniare, qualcosa di politico è venuto fuori. E nemmeno tanto fra le righe, anzi.
Se le organizzazioni non governative si occupano di meno dell’8% dei salvataggi in mare, è spontaneo chiedersi chi si occupi di portare in salvo tutti gli altri migranti. E si apprende velocemente che a gestire la stragrande maggioranza di queste operazioni sono le stesse forze dell’ordine governative, i cui stipendi sembra si possano devolvere diversamente…
Il mercato e l’economia del mondo europeo richiedono sì nuova forza lavoro, urgentemente, e che contribuisca da subito attivamente a produrre ricchezza. Non si può negare che prima di compensare la crisi demografica e del sistema pensionistico occorra tanto tempo, e che in questa fase, la qualità di questo fenomeno migratorio rappresenti un costo più che un guadagno. Ma parliamo di ‘razzismo sistemico’: vi è una discriminazione su base ‘razziale’ (siamo nel novembre del 2024) nelle istituzioni e nel sistema legislativo europeo?
Insomma, le storie di vita sono le storie di maggior valore, da ascoltare, da meditare, con cui migliorarsi un po’. Sono quelle le storie che venerdì si sarebbe voluto ascoltare di più.