Tina: Se ognuno facesse la propria parte, le cose comincerebbero a cambiare

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Da qualche anno, Il Bernina, durante le festività natalizie, propone ai lettori una speciale rubrica alla ricerca di personalità, associazioni o eventi che, nel corso dell’anno, si sono distinti in positivo. Per questi 12 mesi, vista la situazione straordinaria, abbiamo voluto premiare le donne e gli uomini che, in prima linea, stanno fronteggiando la pandemia di Covid-19. Un gesto simbolico per dire grazie a tutte quelle persone impegnate nell’emergenza sanitaria. (Marco Travaglia)

Tina Cortesi, 34 anni, infermiera. Cinque anni fa, dopo la nascita del secondo figlio, decide di ritirarsi per seguire meglio i figli che oggi hanno 2, 5 e 7 anni, aiutando il marito che ha una ditta. Rientrata in servizio per necessità legata al Covid 19. Responsabile del gruppo gioco Ratin.

Tina, come è cambiato il suo lavoro durante la pandemia?

In realtà io da cinque anni non lavoravo più come infermiera. Ho fatto per tre anni la mamma a tempo pieno dei miei tre figli. A marzo, però, sono stata contattata dall’ospedale che mi ha comunicato che mancava personale sanitario a causa della pandemia del Covid chiedendomi di dare una mano per questo periodo difficile. Ho lavorato per marzo e aprile, sospendendo e cominciando di nuovo il 20 novembre. Il mio settore era quello del sostegno alla maternità, quindi diciamo una zona “pulita” dell’ospedale. Sono giornate un po’ complicate e stancanti perché ci si alza alle sei e mezzo, poi ci si occupa della casa e la famiglia lungo il giorno e alle 17 si va in ospedale… Fino alle 24. Non potendo lavorare di giorno ho dato disponibilità per questo orario serale.
Rispetto a prima, a quando lavoravo in condizioni di normalità, manca completamente l’empatia del viso con la mascherina. Si è bardati, si ha un po’ paura di essere contagiati e si percepisce la paura dei pazienti. E poi c’è il problema del personale assente anche per i contagi che fa aumentare la mole di lavoro.

Come sta vivendo a livello personale e familiare questa situazione?

Noi, nel nostro nucleo di genitori con tre bambini la abbiamo vissuta anche bene perché viviamo a Cologna dove abbiamo un giardino e il bosco è vicino. Certo è impegnativo il compito di “distaccarsi” e di dover “distaccare” anche i bambini, che per natura sono molto fisici. Alcune cose mi fanno un po’ impressione, anche per la velocità con cui proprio loro si adattano alle nuove situazioni. Per il mio bambino di due anni, per esempio, è ormai normalissimo pensare che delle persone si vedano soltanto gli occhi!

Quali sono le sue aspettative per il futuro sia in ambito lavorativo che per quanto riguarda l’evoluzione della malattia?

Ogni tanto, ora che ho ripreso, mi fa male pensare e rendermi conto che c’è della gente che banalizza. Nelle nostre strutture sanitarie c’è un sovraccarico di pazienti e lavoro e parte del personale si è ammalato. Certo non è che sia da considerare come una condanna, dal Covid si può anche guarire ma quello che succede, per chi lavora in ospedale è impegnativo. Anche troppo. Spero che le persone abbiano rispetto, perché se ognuno facesse la sua parte rispettando le regole, le cose comincerebbero a cambiare.
Speriamo davvero di poter cominciare presto a vaccinare qualcuno.

Un’ultima cosa…. Ci tengo davvero molto: vorrei ringraziare davvero tutto il personale, non me, intendo quelli che in prima linea si stanno occupando di questa emergenza, perché sono tutti fenomenali.


A cura di Maurizio Zucchi

Maurizio Zucchi
Collaboratore esterno