Tre anni dopo: Maria e la vita sospesa tra la Valposchiavo e l’Ucraina

Tre anni fa avevamo intervistato la nostra collaboratrice Maria Svitlychna, rifugiata ucraina arrivata in Valposchiavo insieme alla sua famiglia nei primi mesi della guerra.
22.10.2025
6 min
Una donna e un ragazzo abbracciati sorridono davanti a una cascata. La donna ha i capelli lunghi e castani, indossa una camicia chiara, mentre il ragazzo ha i capelli corti e indossa una maglietta a righe.
© Maria Svitlychna

Tre anni fa avevamo intervistato la nostra collaboratrice Maria Svitlychna, rifugiata ucraina arrivata in Valposchiavo insieme alla sua famiglia nei primi mesi della guerra. Allora ci aveva raccontato le difficoltà dell’adattamento e la nostalgia per la sua Mariupol. Oggi, a distanza di tempo, torniamo a parlare con lei per capire come si sia evoluta la sua vita in Svizzera, il percorso di integrazione, le sfide e le speranze per il futuro.

Guardandoti indietro, come descriveresti il percorso di integrazione tuo e della tua famiglia in Valposchiavo?
Grazie al sostegno degli abitanti locali, penso che la nostra integrazione sia avvenuta nel modo migliore possibile. Ho sempre trovato comprensione e appoggio da parte dei poschiavini, così come i miei genitori.
Nonostante il mio italiano non perfetto, mi hanno sempre ascoltata con pazienza cercando di capire cosa volessi dire. Nei loro occhi vedevo un sincero desiderio di aiutarmi, per il quale sono infinitamente grata.

Quali sono state le maggiori difficoltà e, al contrario, le sorprese positive che hai vissuto in questi anni?
La difficoltà più grande è stata, naturalmente, la lingua. Poiché a Poschiavo l’inglese non è molto diffuso, il primo anno è stato complicato farmi capire e comprendere cosa gli altri volessero da me. In particolare, quando ho aperto la mia attività indipendente, non conoscevo bene tutte le regole e ho commesso degli errori per i quali ho ricevuto delle multe.
Per quanto riguarda la mia salute mentale, devo dire che il secondo anno è stato molto più difficile del primo. All’inizio era tutto nuovo: cercavo di capire e di adattarmi al nuovo posto, e quindi i pensieri erano occupati da altro. Ma al secondo anno la mia mente tornava sempre più spesso al passato. Mi prendeva una grande malinconia e a volte anche la depressione. Mi sembrava di non farcela da sola, senza l’aiuto di specialisti. Poi, pian piano, sono riuscita a uscirne e adesso sto meglio.
La sorpresa più grande è stata vedere quanto velocemente la gente ha iniziato a riconoscermi e a chiedere i miei servizi fotografici. Quando ho aperto lo studio avevo paura di non riuscire a pagare l’affitto. Mi chiedevo se fosse meglio cercare un altro lavoro o continuare con la fotografia. Non conoscevo ancora il mercato locale né la domanda per un fotografo. Ma oggi sono felice di aver rischiato.

Oggi ti senti più “ospite” o più parte integrante della comunità?
Purtroppo mi sento ancora un’ospite. La Svizzera è molto bella, ma molto diversa dall’Ucraina. Sono cresciuta in una società, in una cultura e con regole differenti. Forse ho solo bisogno di più tempo per sentirmi parte integrante di questa comunità.

Come mantieni il legame con la tua città natale e con le persone che sono rimaste in Ucraina?
Mi sono rimasti pochissimi parenti a Mariupol e con loro ci sentiamo principalmente tramite messaggi. Gli altri amici e persone care ormai sono sparsi un po’ ovunque e, purtroppo, con il passare degli anni ci sentiamo sempre di meno. Ognuno cerca di costruirsi una nuova vita, e per me questa è una questione molto dolorosa e triste.
A Kharkiv è rimasta la sorella di mio marito con la sua famiglia: una volta sono venuti a trovarci. In altre città ucraine ormai quasi non è rimasto nessuno, perché molti si sono trasferiti.

Come si è evoluta la tua attività professionale in questi anni? Sei riuscita a portare avanti la fotografia o altri progetti?
Posso dire di essere soddisfatta di come si stia sviluppando la mia attività professionale. Ho molti progetti e servizi fotografici interessanti. Grazie alla fotografia posso conoscere persone straordinarie e visitare luoghi incredibili. Inoltre, attraverso i progetti che seguo, scopro sempre di più la cultura svizzera.
Sempre più spesso mi contattano anche per servizi di matrimonio. Forse mi manca ancora il coraggio per presentarmi oltre i confini di Poschiavo, soprattutto per la questione linguistica, ma ho già avuto alcuni lavori a Zurigo.
Come ho detto, ho anche un piccolo studio fotografico dove realizzo servizi di vario tipo, tra cui fotografia di prodotto e gioielli.

Come si trova tuo figlio oggi, sia a scuola che nello sport?
A mio figlio piace molto vivere qui. Frequenta con entusiasmo i corsi di karate e le attività con gli scout. A scuola ha ormai molte meno difficoltà a comprendere l’italiano. Anche se i suoi amici più stretti sono soprattutto ragazzi ucraini, spero che col tempo stringa belle amicizie anche con i coetanei locali.

Donna sorridente con capelli lunghi e ricci, indossa una maglietta rosa e un cappellino nero, mentre tiene una macchina fotografica bianca. Sullo sfondo si intravede un paesaggio naturale sfocato.

Guardando al futuro, pensi di rimanere in Valposchiavo o speri ancora di tornare in Ucraina?
Questa è una domanda che mi fanno spesso, alla quale non so rispondere…
Vorrei tornare nella mia città natale? La risposta sarebbe cento volte “sì”! Ma ormai è impossibile. Vorrei tornare nella mia Mariupol di prima della guerra, che ho amato con tutto il cuore. Quel luogo però appartiene al passato: non sarà mai più lo stesso e ora per me non è possibile andarci.
Le altre città ucraine sono bellissime, ma non sono casa mia. Non so come mi sentirei tornando in Ucraina, ma in un’altra città, ricominciando tutto da capo.
Ho però deciso che, quando la guerra finirà, dovrò provare ad andare almeno per qualche settimana nella mia città. Vorrei sentirmi di nuovo a casa, respirare l’aria del mio mare. Forse allora il passato mi lascerà andare e riuscirò a guardare al futuro con più chiarezza.

Hai avuto modo di incontrare altri rifugiati arrivati dopo di te? Se sì, come vi sostenete a vicenda?
Certamente sono felice che qui vivano anche altri ucraini. Ci incontriamo spesso, a volte andiamo a raccogliere funghi o semplicemente a fare passeggiate.
Inoltre, qui abitano due mie amiche con le quali ero già legata a Mariupol. Sono molto grata a questa coincidenza, perché tutti gli altri amici si sono sparsi per il mondo ed è difficile mantenere i contatti.

Dopo tre anni lontana dalla tua casa, che cosa ti dà la forza di andare avanti?
Il desiderio di vivere la vita. Di viverla intensamente. Il desiderio di dare a mio figlio un buon futuro e una buona istruzione. Voglio mostrargli quanto la vita possa essere meravigliosa. Che da ogni situazione esiste sempre una via d’uscita: basta non arrendersi mai.
Il desiderio di mantenere un tenore di vita non inferiore a quello che avevo in Ucraina. E anche il desiderio di trovare finalmente me stessa in questo nuovo mondo.

Se potessi mandare un messaggio a te stessa di tre anni fa, appena arrivata, cosa le diresti?
Anche questa è una domanda difficile. Ci sono aspetti personali che non posso dire.
Vorrei scrivere qualcosa di incoraggiante, che tutto passerà e verrà dimenticato… ma è ancora troppo presto per dirlo. Purtroppo il dolore non è sparito, ho solo imparato a conviverci. Mi sento ancora come un albero sradicato. Forse, quando cominceranno a crescere nuove radici, allora sì, potrò scrivere una lettera a me stessa nel passato con buone notizie.
Per ora penso di aver fatto tutto ciò che era necessario in questi tre anni, quindi non scriverei nulla.

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