Un vero e proprio "slancio di cura delle proprie radici" l’evento di danza che si è concluso con successo domenica 9 novembre, con la residenza artistica di una settimana di Giusy Fanaro (classe 1998) presso il Vecchio Monastero di Poschiavo. L'iniziativa, organizzata dall'Associazione Culturale Riverbero, ha portato in Valposchiavo un'esplorazione intensa e intima del linguaggio femminile e della memoria corporea, culminata in una prova aperta che ha lasciato il pubblico "sollevato" e profondamente coinvolto.
Abbiamo parlato con Paola Gianoli, dell'Associazione Riverbero, per capire il valore di questa collaborazione e il significato di ospitare un progetto così personale.
La coreografa e danzatrice, formatasi tra Roma e l'Università delle Arti di Zurigo (ZHdK), è arrivata a Poschiavo grazie a un importante scambio culturale:
"Giusy Fanaro è stata scelta da una giuria in occasione della seconda edizione di Sprungbrett a Coira del mese di marzo scorso, la piattaforma per coreografi emergenti organizzata ogni due anni dall'associazione Chur Tanzt e che ha visto in scena sei compagnie diverse" spiega Paola Gianoli. "Riverbero mette a disposizione la residenza per la persona che vince il premio. Per me, le collaborazioni sono fondamentali, specialmente nei Grigioni dove la scena della danza sta muovendosi solo adesso. Sono opportunità che portano visibilità, coesione e arricchimento reciproco."
Il tema della residenza, il progetto "Mamma Sina", è stato scelto da Fanaro stessa, alla quale è stata data carta bianca. Un'indagine sulle sue radici molisane e sulla figura delle donne del Sud Italia: custodi di gesti, sacrifici e una forza silenziosa.
Il lavoro di Giusy Fanaro si concentra su ciò che "le parole non dicono", utilizzando il corpo come un vero e proprio "archivio vivente". Gianoli sottolinea come questo approccio abbia arricchito la residenza Riverbero:
"Il tema che ha scelto Giusy Fanaro è stato veramente toccante perché ci riguarda tutti, non è astratto ma anzi, è molto vivo e d’impatto emotivamente," afferma Gianoli. "La danza contemporanea ci permette di raccontare qualcosa senza utilizzare il linguaggio verbale; il linguaggio diventa quindi universale. Se un coreografo approfondisce idee e pensieri, riesce poi a coinvolgere il pubblico, anche in cose forse astratte."
Questo concetto si è tradotto in modo vivido nel workshop del 2 novembre, dove i partecipanti sono stati invitati a esplorare la "memoria invisibile" attraverso l'improvvisazione, partendo da movimenti quotidiani familiari.
A dare ulteriore profondità al progetto, sono state le parole della stessa Giusy Fanaro, che ha raccontato come l'ispirazione sia diventata movimento:
"Il punto di partenza è stato proprio osservare e ricordare i gesti quotidiani delle donne della mia famiglia: semplici, ripetuti, ma carichi di significato. Ho lavorato su come la loro forza silenziosa potesse tradursi in movimento. Mi ha sempre affascinato il modo in cui le donne del passato creavano tutto con le mani: intrecciavano, cucivano, impastavano, stendevano. Ho cercato di trasformare quella manualità in linguaggio corporeo."
La coreografa ha spiegato di utilizzare l'improvvisazione, l'ascolto e la presenza per permettere a queste memorie di emergere. Il risultato, come ha confermato Gianoli, è stato un'esperienza catartica:
"Gli spettatori, alla fine dell’evento, si sono sentiti come sollevati,". E aggiunge: "Poter vedere qualcuno che racconta delle cose che tutti viviamo o abbiamo vissuto fa bene. Si è creato un ambiente leggero, contento, sollevato, dato anche dal fatto che ognuno in sala ha trovato gesti che rimandavano alla propria infanzia o a qualcosa di famigliare, e questo crea legami."
Il potere emotivo è stato amplificato da una colonna sonora eccezionale e ricercata, che spaziava dalle sonorità popolari di Ninna Nanna del Canzoniere Grecanico Salentino e il 2° Coro Delle Lavandaie della Nuova Compagnia di Canto Popolare, fino alle atmosfere rarefatte di Nils Frahm e L'Arpeggiata di Christina Pluhar.
Anche la scelta della location non è stata casuale. Gianoli ha sottolineato il ruolo cruciale del contesto:
"La scelta del Vecchio Monastero, per questo evento specifico, è stata davvero azzeccata perché era come un 'salotto', molto intimo. Le mura di legno trasmettevano calore, come un abbraccio."
In conclusione, l'obiettivo principale di Riverbero rimane "portare progetti artistici di alta qualità, professionali" a Poschiavo. La formula della residenza, che si conclude con un'interazione "quasi intima" tra ballerini e pubblico, rappresenta per l'associazione il modo migliore per raggiungere questo scopo, arricchendo la comunità con stili e temi sempre diversi.
L'Assolo "Mamma Sina" è stato presentato come work in progress, ma sia Giusy Fanaro che l'Associazione Riverbero sperano di poter sviluppare e presentare ulteriormente questo potente atto di riconciliazione con le proprie radici femminili.
La prossima residenza dell’Associazione Riverbero sarà a inizio gennaio 2026, con la coreografa ticinese Bianca Berger, e prevede una prova aperta sabato 17 gennaio.