Seconda passeggiata concettuale a braccetto con Roberto Nussio
Tira una seconda moneta. La tira ancora più forte della prima, rimbalza in Giappone e torna da noi…
Le avete viste tutte mentre lavavano le loro cose nell’acqua del mare: con il solito largo cappello per proteggersi dal sole, con l’acqua fin sopra le ginocchia, le maniche arrotolate in alto, ninnate dallo sciacquo della risacca. Ma questa volta il mare è altamente inquinato. I pesci guizzano ancora ma chissà tra alcune settimane. Queste donne hanno cercato di tenerle all’oscuro per settimane e settimane. Loro lì: in riva al loro mare. Come hanno già fatto le loro madri e le loro nonne all’ora del rientro dalla pesca dei mariti e dei loro uomini. Appartengono ad un popolo che da sempre è vissuto di pesce e riso. Non lo vediamo da noi in vacanza. Vediamo i loro figli, i parenti andati in città, quelli che hanno studiato, che hanno lasciato la terra e le rive del mare per andare negli agglomerati. Dove ci sono le industrie, i servizi, le scuole superiori. Sono quelle persone che hanno goduto del boom economico del dopoguerra. Un benessere economico dovuto alla loro attitudine alla disciplina, all’applicazione, all’apertura al nuovo ed ai mercati di tutto il mondo. Anche se non dispongono di materie prime. Forse per quello?
Vedete per caso dei parallelismi con la nostra Svizzera, oppure con i paesi del nord Europa?
Alcuni decenni fa si acquistavano obbligazioni della Tokio Electric Power, titoli con una tripla A, il meglio del meglio. Il capitale serviva, in parte, per costruire le centrali nucleari che in Giappone, ora, sono state spente. Per colpa dello tsunami, per la mancanza di sicurezza mai comunicata (ma annunciata da anni dall’Agenzia Internazionale per l’energia nucleare), peggio ancora non messa in atto, per il terremoto, per il fatto che si credeva in questa tecnica. Ma pure per non voler adottare delle altre soluzioni di produzione energetica, al fine di spillare fino all’ultimo momento gli investimenti fatti.
E si continua a non sapere, come da noi, dove si sarebbero riposte le scorie.
Il lavoro da me, le scorie da te.
Ora si fanno degli studi, dei cosiddetti stress test: come da noi. Abbiamo in Svizzera delle falde sismiche? Certo, nella zona di Basilea. Abbiamo magari la possibilità che le nostre centrali possano essere devastate dall’acqua? Secondo l’ETH, da quanto si legge, il pericolo esisterebbe: dalle dighe nelle nostre montagne. Disponiamo magari di una qualche centrale nucleare obsoleta? Certo che l’abbiamo e parecchie persone sono salite sulle barricate. E la risposta politica? Una buona parte rimanda al domani la questione: a dopo le elezioni. ”Bisognerà vedere, non si deve fare un salto nel buio, c’è da soppesare, la tecnica è migliorabile, l’uscita dal nucleare è troppo cara… Certo però che sul lungo termine dobbiamo trovare nuove soluzioni… Mah, sapete, meglio avere la tecnica da noi che da coloro che ci forniscono l’energia atomica. E poi, cosa farebbe la nostra economia senza? E poi, sbagliando s’impara. No?”
Eh, sì! Gli uomini sono sempre gli stessi, ma con una grande differenza. Da quando c’è il mondo, per la prima volta negli ultimi secoli, non si pensa seriamente di lasciare una natura vivibile alle prossime generazioni. Niente “Alce Nero”.
In questo senso, le conseguenze fatali della forza atomica ci aprono delle nuove opportunità. Il colosso mondiale General Electric, ad esempio, intende arrivare sul mercato nei prossimi 4 anni con produzioni di energia rinnovabile a basso impatto ambientale e di massa.
Ma nel frattempo: possibile che i motori elettrici consumino, meglio, abbiano le stesse rese di decine di anni fa? Possibile che non si possano fare dei risparmi energetici nelle economie domestiche e negli uffici?
Saremo però comunque obbligati a rivedere l’utopia che l’energia si possa avere in sovrabbondanza, l’elisir dei tempi moderni, da consumare a piacimento. A prezzi bassi.
Lo sanno tutti: le centrali nucleari sono dei sistemi oltremodo complicati e sofisticati. Non si può pensare a tutte le possibilità di una panne. Devono poter essere finanziabili. Le possibilità di guasti “al limite” vengono catalogate come scenario improbabile.
Vi suonano magari le orecchie pensando ai castelli di carta finanziari scoppiati pochi anni fa? Sicuri al 98%! Il due mancante era, quella volta, che il mercato, per giorni, non c’era più. Il piccolo enorme dettaglio. Appunto. Per non parlare della situazione odierna.
Ma andiamo avanti con il ragionamento.
Certo: da una parte le grandi aziende produttrici d’energia a livello mondiale (alle quali siamo legati in quanto le loro azioni sono nei portafogli delle nostre casse pensioni ed assicurazioni) con le loro esigenze di costi e di guadagno. Dall’altra, il regolatore, lo Stato, che ha un occhio di riguardo su chi crea lavoro. Oppure che possiede delle partecipazioni da cui trae guadagno.
Da una parte la ricerca e la tecnica che sognano solo e giustamente di poter realizzare le loro visioni, dall’altra chi deve prevedere i rischi per porre le regole inerenti al grado di sicurezza. Lo Stato dunque, con l’aiuto di esperti che provengono dalla produzione e dalla ricerca, sempre dello stesso settore: quello dell’energia nucleare. Una base di partenza a dir poco molto ambigua.
Il mondo va così. Si decide politicamente e non razionalmente. Quando si sente parlare di progresso, si diventa ciechi. Abbiamo però il sollievo che almeno da noi ed in Europa, il popolo ha ancora la possibilità di dire la sua. Anche senza conoscenze di causa può decidere se fidarsi o no.
Nel frattempo si studiano delle sicurezze maggiori: questo è certo. Attrattive in fase di studio, a quanto sembra, ma dispendiosissime nell’attuazione. E se in un tempo ragionevole (mantenendo una grossa pressione per uscire dal nucleare) si usassero questi mezzi per delle alternative?
Fukushima, con le sue carcasse bruciate, le pozze d’acqua piene di veleni e radioattività, le donne dei pescatori giapponesi verranno dimenticate.
Ci si ricorderà però di un esempio dove l’uso da parte dell’uomo di tecniche complicate è fallito per i rischi che comporta.
Resteremo sui cocci prodotti per aver dato molta (troppa) libertà alle società che producono energia (come si fece con chi produce “finanza”) e creduto ciecamente nel progresso.
Stiamo davanti alle elezioni d’autunno: occhio a come ci parleranno!
Tanto, poi, si dimenticano. Se così non fosse, non avrei preso atto, che pure in Giappone, la sera, le donne, aspettano i loro mariti.
Non spuntate l’argomento. Ci tocca.
E questa è la seconda moneta. Ne seguirà un’altra.
- Guarda anche la prima moneta